Fatti, Politica

Russia. L’arma del bavaglio

Lo ammetto ho molta, molta difficoltà a farmi un’opinione di questa guerra, che sta insanguinando la terra ucraina, logorando le nostre vite e soprattutto i nostri c/c.

Aggredito, aggressore, propaganda, armi, atomica, escalation.

Vorrei sentire il suono di parole che paiono sconosciute: tregua, cessate il fuoco, trattative diplomatiche, pace.

Oltre ad essere una guerra atroce sul campo, è soprattutto una guerra tra chi pesta più forte il piede a chi. A chi abbaia, o forse meglio ‘raglia’, più forte. Tra chi ce l’ha più duro.

Oggi intanto sono scattate le manette ai polsi di un blogger russo, Dmitry Ivanov, per falsa propaganda contro l’esercito russo. Di certo non l’ultima vittima delle legge bavaglio imposta da Putin.

“Dovete capire che la Russia non è Putin”. Cari amici dei diversi Stati, vi chiedo di ascoltare e condivere il messaggio di Dmitry Ivanov alla comunità internazionale. Ivanov, studente attivista e gestore del canale Telegram “Moscow University Protest”, è stato condannato a 8 anni e mezzo per falsa propaganda ai danni dell’armata russa. “Dovete capire la Russia non è Putin. Non lo abbiamo votato e non siamo stati interpellati prima di iniziare questa guerra ai nostri vicini. So di decine di milioni di persone quì in Russia, contrari alla guerra. Molti di noi hanno amici e parenti in Ucraina, e viviamo il loro dolore. Questa guerra è una grande tragedia per gli Ucraini, ma lo è anche per i russi che vogliono vivere pacificamente con i propri vicini e che stanno subendo la dittatura (esercitata da Putin, ndr). Oggi è il momento buio della nostra storia. Il momento più buio precede sempre l’alba. Libertà per la Russia, pace per l’Ucraina.

Messaggio indirizzato da Dmitry Ivanov alla comunità internazionale, condiviso da Kirill Medvedev via Facebook
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blogging, Fotografia, live music

Take your time man

Ammettiamolo, Larry Mullen Jr ci ha fatto perdere 10 anni di vita con le sue dichiarazioni al Washington Post. Parlo da fan ovviamente!

Quando il boss degli U2 parla, pubblicamente dopo anni di silenzi, fa tremare i polsi. Le sue parole sono sempre poche, ma difficilmente non lasciano il segno.

Deo gratias, per il mio portafoglio, è praticamente escluso un suo ritorno al live nel 2023. E senza Larry Mullen Jr, non c’è formazione arraffazzonata degli U2 che possa tentarmi di scendere in trincea, per accapparrarmi il ticket di un qualsivoglia concerto. Non esiste proprio.

Credo che per Larry il tempo sospeso del Covid-19, sia stata una manna dal cielo.

Forse lo vedremo tornare senza i bendaggi antidolorifici.

Forse lo vedremo tornare diverso.

Forse gli verrà voglia di rientrare in contatto con il pubblico. Con una certa razza di fans, sicuramente meno. Ma tant’è è un obolo che dovrà pagare fino al suo ultimo respiro. Ma son certa si ricorderà anche di quelli che rispettano il suo essere.

Sicuramente la passione e la dedizione per la musica non verranno mai meno.

Bono creperebbe senza fama. Mi sono totalmente disinteressata di Surrender, 40 anni, una storia. Poco sopporto gli sproloqui di Paul Hewson, li trovo ridondanti, forzatamente buonisti, a tratti noiosi. Preferisco che i silenzi ‘Larry’s style’ perchè raccontano molto più di fiumi in piena di parole.

“Eretica!”, sarà la condanna emessa dall’orda di fans puristi uduici. Pazienza me ne farò una ragione, non sono mai stata, non sono e non sarò mai una pecora che ama stare nel gregge.

(ndr: fans tanto puristi, quanto affaristi dei mercati sommersi di biglietti live, ma mi taccio)

Immagine di copertina tratta da Music Radar

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Fatti, Politica

L’istituzionalità perduta

Che io sia apartitica credo lo si possa dare per assodato. Mi sono occupata della realtà socio politica del Nord dell’Irlanda per 15 anni, ma non trovo nemmeno la più labile ragione che mi convinca ad approfondire la questione della politica italiana.

Da che ho memoria, i personaggi che si sono dati il turnover alla guida di questa povera Italia, per la sottoscritta sono sempre stati un valido motivo di vergogna. Non si contano gli sfottò al momento del check dei documenti ai desks degli aeroporti. L’unica speranza è sempre quella di volatilizzarsi nel più breve tempo possibile.

Partiamo dal presupposto che io sono la tipica persona che si vergogna dei caciaroni italiani, campioni – in fatto di nazionalità – nel farsi riconoscere per strada di qualsiasi angolo sperduto, al di fuori dei confini del Bel Paese.

Sorvolo sul Berlusca che promette tr**e a destra e a manca, ci sarebbe da stupirsi del contrario.

Ciò che più mi sconcerta oggi, in termini di politica itagliacana, è il coattismo manifesto de il/lo/la Presidente del Consiglio, certa Giorgia Meloni, quale massima espressione istituzionale del ruolo da costei ricoperto.

Ma veramente? Ma veramente è tollerabile? Non si sta parlando di un comizio di piazza, dinnanzi ad una platea di persone il cui acume è spesso e volentieri discutibile. Stiamo parlando di Parlamento e di un ruolo, espressione di massima istituzionalità.

E poi critica i giornalisti pergli applausi riservati a Mario Draghi? Ripeto, ma veramente?

Guardare, ascoltare e soprattutto IMPARARE

Giusto per intenderci, un lavoratore dipendente, a partire da livello impiegatizio base, è tenuto al rispetto di norme interne comportamentali e di abbigliamento. Il/lo/la Presidente del Consiglio no.

Fossero equiparabili almeno gli stipendi….

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Gerry Conlon, ritratto da Lorenzo Moscia

Non so chi di voi sappia chi sia quest’uomo, sicuramente in futuro ne parlerò.

Credo questa fotografia, come poche altre, possa cogliere tanto o tutto del vissuto di una persona. Mi piacerebbe che qualcuno scrivesse quello che questo scatto gli racconta, al di là di ogni conoscenza.

C’è chi riesce a carpire l’anima più profonda con un dito e un obiettivo. Lorenzo Moscia, autore del ritratto, ci riesce sempre.

Per chi non lo sapesse, lui è Gerry Conlon.

Leggerete ancora, su queste pagine, di questi due nomi insieme.

Fotografia

Quando le parole non servono

Immagine
In the Pleasure Groove: Love Death and Duran Duran
Recensioni

Once upon a time a pin-up boy on my bedroom wall

Quale miglior inizio per una lettera indirizzata a John Taylor, bassista e fondatore – con Nick Rhodes – dei Duran Duran. Il fenomeno Pop degli anni ’80. Non è esagerato definirlo un simbolo generazionale.

Inutile dirlo, John Taylor è stato l’idolo mio come di migliaia, milioni di altre teenagers. Una tempesta ormonale senza precedenti, che se avrete occasione (fate in modo di averla) di assistere oggi ad un concerto dei Duran Duran, vedrete nuovamente concretizzarsi intorno a voi e davanti ai vostri occhi. Chissenefrega degli Anta abbondanti ormai sulle spalle, una ventata di meravigliosa leggerezza dell’essere.

Sfogliare le pagine di In The Pleasure Groove: love, death and Duran Duran (Nel Ritmo del Piacere: amore, morte e Duran Duran, nella versione tradotta ndr), è intraprendere un viaggio in quell’epoca gloriosa che ha sfornato veri propri mostri sacri. Dei miti che hanno il dono dell’mmortalità (Freddie Mercury, David Bowie su tutti). Alcuni non ci sono più e li piangeremo per sempre, altri stipano ancora le venues a 60 anni suonati.

Quale immensa fortuna abbiamo avuto? Un amico musicista, mi ha suggerito che è un errore demonizzare la musica dei giorni nostri, perchè lo stesso si diceva a suo tempo dei Beatles e poi sappiamo bene come sia andata a finire. Dovrò dargli ragione? Io sono molto scettica. O forse solo ottusa?

Ho deciso di affrontare la lettura di In The Pleasure Groove in lingua originale, come suggerito in una recensione in cui mi sono imbattuta. Credo effettivamente sia stata la scelta migliore, perchè c’è una ironia, talvolta anche greve, che dubito possa essere tradotta.

Today is October 3

It is friday

You are in Chicago

Today is a show day

Sound check is at 4pm

Your almost expected to say YOUR NAME IS: JOHN

In the Pleasure Groove: Love, Death and Duran Duran (cap. 31)

Non aspettatevi un’autocelebrazione. C’è chi ha mollato dopo le prime pagine, che ripercorrono quasi ossessivamente l’infanzia di John. Una lettura che sembra sublimare in una dimesione reale e tangibile, in cui vivi ogni minimo passo che sta compiendo, grazie ad una dovizia di dettagli impressionante. C’è chi ha criticato l’opera, per essere la solita trita e ritrita narrazione della parabola discendente di un musicista che ha vissuto solo di sesso, alcool, droga e rock’n roll.

Non so per quale astrusa ragione, io abbia trovato una chiave di lettura molto diversa dallo stereotipo di biografia destinata ai fans.

Forse aver lavorato nell’ambiente musicale, ed avendone ancora le mani in pasta (ben lungi dal live di calibro), offre un angolo di visione differente. In certi frangenti si legge, a mio avviso, una chiara critica a quella che è stata (probabilmente la sarà sempre) la gestione ‘delle galline dalle uova d’oro’ da parte di case discografiche, producers e promoters.

Alla fin fine, indipendente tutto e dai talenti, sono e saranno sempre loro a decretare la vita e la morte di un artista.

John Taylor ricorda come i Duran Duran ci abbiano rimesso i denti davanti alle porte sbattute loro in faccia, nel momento in cui hanno deciso di intraprendere una strada che si discota dal POP.

Il fenomeno POP, se non fa POP perchè dovrebbe continuare ad esistere?

E quando ‘no money’, c’è ben poco da fare se non scavare nella sabbia alla ricerca di qualcuno che ti offra una chance, magari più per scommessa che per altro. Così anche le aspettative si ridemsionano e il successo assume un altro sapore. Ed oggi, scollinando ogni volta le montagne russe, sono ancora qui a sfornare inediti e a calcare i palchi di tutto il mondo.

Next thing I know, I’m waking up from a deep, restful, much needed sleep

Today is: Showday

Your name is: John Fucking Taylor

In The Pleasure Groove: Love, Death and Duran Duran (cap. 72)

In the Pleasure Groove è una presa di coscienza da parte dell’autore, di un’onestà umana e intellettuale disarmante, che poche altre volte ho incontrato. Senza dubbio, le dipendenze sono un argomento cardine del libro. Praticamente dal giorno Uno. Sembra ne parli come per volersi disfare di un fardello che non ha più senso portarsi sulle spalle. Probabilmente un dovere verso se stesso e verso chi c’è sempre stato, nonostante tutto.

Compiuti i dieci anni, In The Pleasure Groove è un must have per i fans della band inglese, ma dovrebbe essere un must have nella libreria di chiunque voglia conoscere cosa si celi dietro la fama e i fasti dei riflettori, al di là di demagogie e dicerie.



(Immagine di testata tratta da My Dreams, Wishes & Desires)

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blogging

Nessuna scusa è dovuta

Part of me (a big part of me) wants to apologize but I’m fighting that

Daily Duranie

Quante volte l’ho pensato.

Non è semplice decidere di chiudere defintivamente un capitolo lungo anni.

Quando non si verificano accadimenti per cui valga la pena scrivere, quando si è stanchi di sentirsi in obbligo di dover dimostrare di dover essere sempre sul pezzo, si viene pervasi da un senso di malassere che non è semplice, né da capire né da spiegare.

Solo chi segue lo stesso tormentato percorso, può capire. Ho letto con immenso piacere e somma soddisfazione il post I Give Thanks pubblicato su Daily Duranie. Neo iscritta alla newsletter, ho trovato qualcuno che mi ha mostrato la luce in fondo al tunnel. Mi sono sentita realmente sollevata e grata a chi è riuscito ad esprimere benissimo, quello che io non ho mai avuto le palle di scrivere (perdonate il francesismo, ndr).

Si arriva ad un punto in cui veramente non se ne può più di sentirsi in obbligo di mettere al primo posto, tra le priorità, aggiornare il blog o sito o qualsivoglia pubblicazione. Che sia for free o remunerato, poco importa. Alla fin fine, lo potresti anche trovare chi ti bussa alla porta per portare avanti il lavoro che hai volutamente interrotto, ma non farti delle illusioni, 9 volte su 10 è per sfruttare ‘l’avviamento’ e trovarsi la strada spianata. No grazie. Come dicevano Gigi & Andrea nei loro sketch “come ti ho fatto ti disfo”.

Resterà probabilmente il rimpianto di aver gettato alle ortiche tanta fatica.

Flirtare con Google diventa un’arte, perchè se non arrivi a stargli simpatico il gioco si fa duro. Ad oggi me ne frega poco o niente…che mentitrice seriale che sono, tempo 1 settimana e sarò già con amarezza a spulciare le statistiche di I Didn’t Tell You, che sta prendendo una china totalmente differente rispetto alla ragione per cui è stato concepito. E’ un work in progress, nel vero senso della parola.

Ripartire da zero, solo per diletto e voglia di scrivere del nulla o di tutto, ha però un suo fascino.

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Lettera a..

So move your ass, honey

Sara, cara mia, questa lettera è dedicata a te, sì proprio a te che ti stai scrivendo da sola su questa pagina bianca dell’editor classico di WordPress.com, perchè proprio non digerisci la gestione a blocchi.

Tu che su questa piattaforma ci sei cresciuta, ti sei fatta le ossa e hai scritto fiumi di parole.

E’ ora di darti una mossa e tornare a a macinarne. Perchè scrivere è quello che più ti piace ed quello che più ti ha dato soddisfazione da una quindicina d’anni a questa parte.

E’ il momento di concerdere del tempo a stessa. ‘Avercene!’ mi stai dicendo tra te e me, me e me, insomma ….chiaro il concetto, vero?

Non so se lo hai capito, ma di soddisfazione fuori da queste pagine ce ne sono proprio pochine. Quella luce in fondo al tunnel, che si vedeva dopo la fase più grave della pandemia, è nella realtà un treno che sta arrivando dritto in faccia.

Della serie “…te sta dentro che qua fuori è un  brutto mondo!”, recitava Stefano Accorsi nel capolavoro RadioFreccia

il covid

la giungla lavorativa logora dell’incertezza del domani e che pullula di serpi e serpenti

le bollette da pagare

la guerra

quello che ci attende e la minaccia da dietro l’angolo

……”Alexa, cancella la lista della spesa!!!”

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Carta e penna

Slowly, un salto nel passato

Non sono solita parlare di applicazioni, credo di non averlo mai fatto se non per lodarmi ed imbrodarmi di quella, molto basica, ideata gioco forza per The Five Demands,

Slowly però calza a pennello con quella che è l’idea di fondo di questo blog. Mi ci sono imbattuta un paio di giorni fa, cercando sul Play Store applicazioni attinenti al concetto di PenPal e toh…. un vero e proprio salto nel passato della tecnologia.

Simula quasi in tutto e per tutto lo spirito della corrispondenza di penna, quindi scordatevi la velocità e immediatezza delle chat, scordatevi la necessità di apparire che è la linfa dei social. Nessuna immagine di utenti, solo Avatar. E’ possibile esplicitare il proprio disinteresse per relazioni e/o approcci a sfondo sessuale.

A mio modesto avviso, la forza di questa applicazione sta appunto nel proprio mantra ‘Get Slowly’.

Il recapito delle lettere non  è immediato ma, simulando l’invio cartaceo, è soggetto a tempistiche calcolate in base alla distanza tra le geocalizzazioni degli utenti. Il sapere che il tuo interlocutore ti ha scritto/risposto, rende l’attesa diventa ‘friccicante’. Diciamo che Slowly ti evita di macinare i km tra casa e la cassetta delle lettere, in attesa di quella missiva tanto desiderata.

Altra caraterristica pregevole e la presenza di consigli per l’utilizzo sicuro, che vengono ben esplicitati. Sicuramente una nota di merito per gli sviluppatori.

Negli stores Android e IOS, c’è chi parla solo che bene di Slowly e poi ci sono i detrattori, come normale che sia. Io ho deciso di non deporre troppe aspettative in questa app, perchè resto nostalgicamente legata al concetto arcaico di PenPal, ma voglio dargli una chance.

slowly

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